Scheda

Numero d'ordine: 161

Data: 21 11 1551

Intestazione: VINCENZO BORGHINI IN FIRENZE A GIORGIO VASARI IN ROMA

Segnatura: ASA, AV, 14 (XLVIII), cc. 15, 18.

Fonte: Messer Giorgio mio carissimo e onorando.
Voi avete ragione a dolervi di me, ché io per dirla a la libera, sono un infingardo d’ora in ora; e per non stare a dire là non la stette, facciam pur conto, che nasca da mera negligenzia; quel che io posso fare emendarmi per l’avvenire e questo ve lo prometto.
Io sto bene, e come potesti vedere in parte, io stetti là in quelle nostre alpi, più che io non pensavo parecchi dì; e s’io non sollecitavo, vi sarei ancora, sì che alla tornata mia io non vi potetti vedere. E voi avete fatto umanamente a darmi aviso di voi e, quel che io desideravo sopra tutto, farmi intendere che voi state bene e che la opera vi succede fra le mani felicemente, come mi dite voi, nella spedizione, e come interpetro io nella bontà o bellezza, che la chiamate; che di questo io mene piglio tanto piacere, quanto se tutto l’onore avessi a rimboccare sopra di me.
Dio voglia che, come io spero, el Santo Padre sadisfaccia così a voi, come voi sadisfarete a lui, che non sarà però cosa difficile a Sua Santità: ché di quel bene che doverrà fare a voi non ne sarà punto più povero, come cavando una soma d’aqqua del mare, né più né manco si riman mare. Pure e’ non si può negare che la guerra non sia di stiatta di astore, che dove abita non vi patisce altri uccelli. Così bisogna che tutte le virtù faccin conto al tempo della guerra di diliguarsi e particularmente la vostra, ché se si ha da credere a que’ savi del tempo antico, è propria cosa da (come gli chiamavono i Romani) beati; e noi gli potremo battezzare in nostra lingua deliziosi o agiati, come dicevano i nostri vecchi, dico, persone ricche e vogliolose. E questo secondo me è, che a Roma è sempre stata buona stanza per i pittori; benché voi ne’ vostri scritti ne date un’altra ragione che è, secondo un mio discorso, quel che i nostri predicatori chiamono il senso allegorico. Ma comunque si sia, la pazienza vince ogni cosa e io non dubito che, per le ragioni, che dite e per la buona mente del Santo Padre e per la virtù vostra e’ non sia per ristorarvi ampiamente. Ma e’ bisogna, messer Giorgio mio, aver non solamente virtù per guida in questo mondo, ma ancora la fortuna compagna. Ecco, se voi vi fussi abbattuto a questa impresa in miglior tempo, quanto avevi voi da contentarvi! Imperò le cose andranno bene a dispetto della mala sorte, e sarà il vero quel che avete dipinto nella vostra sala. E con questo fo fine a questa parte.
Io vi dissi tanto a bocca della tavola vostra (oltre quel che io vi avevo scritto), che non ho che dirvi altro di nuovo. Et io sono stato da Ogni Santi in qua anche di fuori, donde torno oggi, sì che io non [ho] anche inteso cosa alcuna. Inanzi Ogni Santi pochi dì trovandomi a caso presso a San Lorenzo, e sopraggiugnendo una gran pioggia, i’ mi ritirai in chiesa e parvemi che la tela della vostra tavola fussi un poco allentata per l’umido, che in que’ giorni non piovve quaggiù, ma diluviò: pure io non ve l’affermo; e quando pure e’ fussi, ella debbe esser tornata. Ho inteso, ma non l’ho di buon luogo, che io ve la possa dar per cosa sicura, che il Bronzino, da poi che la vostra tavola è fuora, ha fatto un gran ritoccamento, anzi pur mutamento nelle sua tavole: qualcosa debbe essere stato, poiché e’ s’è buzzicato non so che, che sapete, che qui est Dominus Dominantium etc.
Io vi ho invidia della compagnia e domestichezza di quanta virtù e ‘ngegno ha avuto l’età nostra. E non credo aver detto troppo, quando io penso che, parlando di Giotto, el nostro Boccaccio lo chiamò una delle prime luci della fiorentina gloria; il quale non se gli può agguagliare in parte alcuna. Io credo che il Boccaccio si sbigottissi, che mai al mondo avessi a nascere pari a lui non che migl[i]ore: però disse lui tutto quel che si poteva dire e gli dette quel titolo, che avea a esser meritamente e veramente di messer Michelagniolo, il quale io vi invidio quanto io posso: non che io volessi, che voi non lo godessi, come fate, e molto più; ma vorrei averci parte anche io, che certo io morrei poi contento, quando io avessi avuto tanta grazia di aver goduto l’amicizia d’un tanto uomo, al quale io non so se la età, che ha a venire, n’are’ mai un simile; ma so bene che la passata non ha avuto pari. Sì che, all’amore che io porto alla virtù vostra, vi si aggiugne un obligo grandissimo, che vi siate degnato di ragionarli di me. Io non vo’ dir più circa questo; solo dirò, che Dio volessi che io potessi tanto quanto io ho voglia di farli cosa grata.
Messer Piero Vettori sta bene e vi saluta e Agnol mio, che si mette a ordine per ire al Borgo commissario, sì che io ne starò privo un anno. Gli amici altri tutti stanno bene. Del suocero non vi dico altro: egli era vecchio e mal condizionato, sì che e’ non è stato per lui gran male fuggire un altro gran male. Mi fa male, che per voi era bene, che vivessi ancor qualche tempo.
Io non vo esser più lungo; e potrà essere che fra pochi dì vi scriva di nuovo per Don Ignazio Minerbetti, mio amicissimo, che viene alla volta di costì e ve lo manderò, perché gli mostriate qualcosa, e per lui vi scriverrò. Ricordatevi di me e amatemi, come io fo voi, e comandatemi etc.
Di Firenze alli XXI di novembre del LI.
Tutto tutto vostroVincenzo Borghini.
Al Magnifico Messer Giorgio Vasari, Pittore Excellentissimo, a Roma. Nel banco di messer Bindo Altoviti.

Bibliografia: Frey 1923, pp. 314-317; Borghini, Carteggio 2001, pp. 330-331.