Scheda

Numero d'ordine: 169

Data: 28 05 1552

Intestazione: VINCENZO BORGHINI IN FIRENZE A GIORGIO VASARI IN ROMA

Segnatura: ASA, AV, 14 (XLVIII), cc. 16-17.

Fonte: Messer Giorgio mio.
Io non vi scrissi sabato, perché mi purgavo et apunto avea preso un po’ di medicina di poi. Egl’era stato il dì inanzi a me messer Niccolò da Volterra e mi aveva letto un capitolo d’una sua per conto mio, dove era in particulare che, se io o Piero Vettori non aveamo scritto al Reverendissimo Santa Croce, non scrivessimo; la qual cosa fu tardi, perché io non potetti vedere Piero Vettori, che era cavalcato il dì col Reverendissimo Farnese, né la mattina seguente a buon ora, tanto che di già egli avea scritto e dato la lettera, nella quale egli avea fatto l’ufizio e doppo molte cose conchiuso e pregato Sua Signoria Reverendissima, che vi avessi in protezzione e per amico, e che in tutto quello che vi potessi far piacere non solo e’ sarebbe benissimo allogato, ma e’ lo reputerebbe fatto a sé, e che ancora ne farebbe piacere a me, che ero vostro amicissimo. Questo voi aresti forse voluto serbarlo a qualche altro tempo o qualche occasione a proposito; pure io non veggo, che e’ possa nuocere e, bisognando di nuovo, si farà sempre e con miglore occasione, sendo già appiccata la pratica e più caldamente.
Voi nelle risposte vostre non accennate mai le ricevute delle mie, né sempre veggo per la risposta vostra, se l’avete ricevute; e fatemi stare con l’animo sospeso e massime che io non ho da voi ancora dove io ho a indirizzare le lettere, acciò venghino a esservi date fidatamente; siché io vi prego che facciate l’uno e l’altro, come anche per l’ultima mia vi scrissi.
Io mi son posto a scrivervi questa per avisarvi principalmente del successo della lettera del reverendissimo Santa Croce. Ma io ho avuto anche occasione, e non ve ne ridete, che questa notte in sogno sono sempre stato con Vostra Signoria e parevami che mi mostrassi tante belle cose e tanti disegni, che rimanevo attonito, talché poi che fui desto, ancora avea il capo pieno di pitture. Così la prima cosa, levato ch’io fui, ho preso la penna e credo che il mio sogno sia vero, che voi facciate belle cose, e che se io fussi costì, aresti da mostrarmi cose maraviglose. Ma stando io qui, el sogno finalmente sarà sogno, se e’ non lo verificassi el nostro capitolo, che ora è in sul terminare; e fra 6 o 8 dì lo saperrò certo.
E potrebbe accadere, come vanno le cose nostre, che la fortuna mi balestrassi in luogo, che el sogno si verificassi: pure questo io non lo aspetto et anche non me ne curo troppo. Vi dico bene che accadendo, ogni fastidio e disagio che io potessi avere per simil conto, lo ristorerebbe solo el conforto di vedere Vostra Signoria e le cose vostre.
Io mi son rallegrato assai, messer Giorgio mio, della buona nuova della pace fra Sua Santità e questi altri prìncipi, che io la chiamo pace, parendomi che ogni volta che si pon giù l’arme, si possa chiamar pace. E mi rallegro per conto universale, che la guerra starà discosto da casa e mancherà la chiesa d’infinite spese, e anche in particulare, che Vostra Signoria arà più commodità di operare ne’ servizii di Sua Santita; che non sarà, né col pensiero né con la spesa intricato in altro e con più speranza che le fatiche sua sieno ricognosciute; ché mi pare, che la guerra tolga il pane di bocca a ognuno.
Arò ben caro intendere, se Vostra Signoria per conto del signor Giovanbatista fa sepoltura o cosa alcuna di nuovo, ché ho inteso, o parmi avere inteso non so che, ma in aria.
Quando mi scrivete, (che sarà, quando con vostra commodità e commodità larga potrete,) ditemi, di grazia, come sta el nostro messer Michelagnolo, del quale io dico spesso quel verso d’un suo amico, parlando pur di lui: “E' non è donna, e mene innamorai”. E si sa qui certe cose generali: che egli è vivo e sano; ma io vorrei sapere da voi qualche particulare; ché io vi dico, messer Giorgio mio, che io l’amo tanto quanto io posso. E in quella mia baia che ho fra mano ho detto 12 parole di Sua Santità, che mostrandole a Piero Vettori, gli parvono, come e’disse, apunto vere e amorevoli; siché fate che io ne sappi qualcosa.
E poi che io sono in questo ragionamento, io vi voglio dire una cosa, che io ho dato ordine e voglio pregarvi, che me n’aiutate in quel che potete: io ho ordinato a l’abate di Speco alla tornata sua di costì, che mi cerchi diligentemente fra coteste stampe di disegni tutti quelli che sono stampati di Michelagnolo, che gli voglio tutti quelli che potrò avere apresso di me, e perché lui non sa così bene, Vostra Signoria, col quale per mio ordine e’ne conferirà, lo indirizzerà bene. Io so che si è stampato di suo assai cose; e io non ho altro che il Giudizio e il ritratto di quella Pietà che chiamano ordinariamente la Madonna della Febbre. Ho ben visto dell’altre cose, ma non l‘ho; et ora che sono in questo capriccio, s’io non me lo cavassi, io morrei. Hovvene avisato inanzi, acciò ci possiate un po’ pensare per amor mio, poi alla venuta di quel padre io darò l’ordine per via di Raffaello mio, che mi sieno mandati etc. Credo pure, che a quel tempo sarete in Roma; quando che non, avisatemi dove ha a capitare. Lui vi sarà fra lo Spirito Santo e il Corpus Domini.
Altro per ora non vi dirò, che pure mi pare essere stato troppo lungo; ma ristori, che io scrivo di rado, siché non vi maraviglate, se io ne piglio poi di queste corpacciate. A Dio. State sano e amatemi e salutatemi il divino messer Michelagnolo mio.
Di Firenze el di 28 di maggio del '52.
Tutto di Vostra Signoria
Vincenzo Borghini
Al Molto Magnifico Messer Giorgio Vasari d’Arezzo, Pittore Eccellente. Roma.

Bibliografia: Frey 1923, pp. 324-327; Borghini, Carteggio 2001, pp. 341-343.