Numero d'ordine: 218
Data: assente
Intestazione: MICHELANGELO BUONARROTI IN ROMA A GIORGIO VASARI IN FIRENZE
Segnatura: ASA, AV, 12 (XLVI), c. 12.
Fonte: Le favole del mondo m’hanno tolto
il [t]empo, dato a contemplare Idio,
né sol le grazie suo poste in oblio,
ma con lor, più che senza a pecar volto.
Quel c[h]’altri saggio, me fa cieco e stolto
e tardi a riconoscer l’error mio;
manca la speme, e pur cresce ‘l desio,
che da te sie dal [pro]prio amor disciolto.
Amezzami la strada, c[h]’al ciel sale,
Signior mie caro, e a quel mezzo solo
salir m’è di bisognio la tuo ‘ita.
Mectimi in odio quant’el mondo vale,
E quante suo bellezze onoro e colo,
C[h]’anzi morte caparri eterna vita.
Messer Giorgio.
Io vi mando dua sonecti; e benché sien cosa scioca, il fo perché veggiate, dov io tengo i mie pensieri. E quando arete octantuno anni, come ho io, credo, mi crederre[te].
Pregovi, gli diate a messer Giovan Francesco Factucci, che me n’ha chiesti.
Vostro Michelangelo Buonarroti in Roma.
Non è più bassa o vil cosa terrena,
che quel che, senza te mi sento e sono,
ond’al’alto desir chiede perdono
la debile mie propia e stanca lena.
De[h], porgi, Signior mio, quella catena
che seco annoda ogni celeste dono:
la fede, dico, a che mi stringo e sprono
né, mie colpa, n’ho grazia intiera e piena.
Tanto mi fie maggior quant’è più raro
il don de’ doni; e maggior fia, se, senza
pace e contento il mondo in sé non ave.
Po’ che non fusti del tuo sangue avaro,
che sarà di tal don la tuo clemenza,
se ‘l ciel non s’apre a noi con altra chiave?
Bibliografia: Frey 1923, pp. 406-409; Michelangelo, Carteggio, 1965-1983, V, pp. 31-32.