Scheda

Numero d'ordine: 423

Data: 20 01 1563

Intestazione: PRIORE DELL’ORATORIO DI SANTA MARIA DEGLI ANGELI IN FIRENZE A GIORGIO VASARI IN FIRENZE

Segnatura: ASA, AV, 13 (XLVII), cc. 44-45.

Fonte: Magnifico e Eccellente messer Giorgio.
Tornando iersera a casa, mi fu data una di Vostra Signoria, nella quale ho veduto a piè della supplica della vostra compagnia un riscritto di Sua Eccellenza Illustrissima, che m’ha in modo stordito e cavato di me, non sapendo donde ciò proceda e possa venire, ch’io non so che mi fare né che mi dire. E avendo parlato, oltre a quello che mi sapeva con alcuni de’ nostri monaci et intese le carezze, che in mia assenza sono state fatte a tutti voi dalla maggior parte di detti monaci, non posso credere, che alcuno di voi abbia fatto se non buono uffizio, non avendone avuto cagione. Sapete voi, sa il Bronzino, sa l’Ammannato, sa il San Gallo, sa messer Benvenuto et in somma, sapete tutti quanti, se voi volete dire il vero, che voi sete stati sempre da noi ricevuti volentieri a tutte l’ore et accommodati, quando non s’è avuto altro commodo, nelle proprie camere?
Sapete oltre di questo, che qualcuno de’ monaci, e negl’universali della compagnia e ne’ particolari bisogni di tutti, s’è continovamente adoperato con ogni qualità d’amorevolezza? Donde vien dunque questa cosa? Mentre che voi sete stato alla corte ognisera, che il camarlingo e il procuratore tornavano, non è stato nessun monaco che non dicesse: “Quando torna messer Giorgio”? “Quando si commincia a murare nel tempio”? Io vorrei volentieri, che qua fussero essaminati da qualche severo giudice intorno a questo fatto i miei monaci; perché troverresti la maggior parte hanno desiderato più questa cosa che nessun altra giamai. E se pure in mia assenza, che sono stato fuor quest’anno assai, per bisogni della casa, qualcuno, che nol so, avesse detto, ragionando qualche cosa, il che, quando sia stato, sarà stato modestissimamente, deve per questo la bontà di Sua Eccellenza Illustrissima avere in mal concetto tanti altri poveri monaci, che non hanno in questo alcun peccato?
E questa casa, che è sempre stata particolarmente cosa propria della Casa de’ Medici e di Sua Eccellenza, che Le ha sempre procacciato e in Roma e per tutto onore e utile! Voi, messer Giorgio, voi, che avete sempre saputo l’animo mio, e che mediante gli amici, che avete in questa casa, sapete ogni cosa nostra, dovereste per la verità e per la giustizia diffendere con Sua Eccellenza Illustrissima l’innocenza nostra e non dovereste comportare che tanti poveri monaci, che non sanno più oltre che dire il loro uffizio, vivessino in tanti dispiaceri, quanto fanno.
Potrei qui aggiugnere molte cose, che vi farebbano fede della mente nostra verso il Signor Duca; ma le voglio tacere per modestia e per lo migliore. Io per me, sallo Iddio, in questa cosa non ho se non un errore solo per inavertenza commesso, il quale è questo: che io doveva, come capo, quando si comminciò a ragionare di questa cosa, sì come io l’aveva fatto nell’animo, e così sapeva essere la mente di tutta questa mia famiglia, andare palesamente a fare libero dono a Sua Eccellenza non solo del tempio e di tutte le cose nostre, che sono Sue, e dalla bontà e casa Sua le riconosciamo, ma ancora di noi stessi, che Le semo stati sempre e saremo affettuosissimi figliuoli e servitori. Ma se io non l’ho fatto, è stato per lo migliore e per essermi lasciato consegliare.
Quanto al non volere dare la tregge a a’ porci, non so che mi dire, se non racommandare a Dio questi poveri monaci, che in questo non hanno peccato niuno. In somma, il tempio, noi e tutte le cose nostre sono di Sua Eccellenza, alla quale vorrei faceste fede voi, che così è stato sempre l’animo nostro e sarà. Voi, dico, il quale sapete, senza che io più oltre vada, ogni cosa. Io vorria andare a Sua Eccellenza, ma il parermi di vederla contro di noi tutta sdegnata, mi fa temere di peggio e di non essere ributtato: però standomi infra Scilla e Carriddi, aspetterò il consiglio vostro.
Rimandovi la supplica. E questo vi ho scritto brievemente col consenso di tutti i sacerdoti, che sono in casa. Mi sa male non ci sia il reverendo padre abbate di Trivio Don Antonio, che hà in gran parte trattato questa cosa, perché forse sapendo più oltre, che io non so, mi darebbe qualche consiglio in tanto travaglio mio e di questi poveri monaci innocenti, che si racommandano a vostra Signoria.
Dal munistero degl’Angioli li XX di gennaio MDLXII.
Di Vostra Signoria molto Magnifica
Il Priore delli Angeli
di Firenze
Al molto Magnifico e Eccellente messer Giorgio Vasari, mio Osservandissimo.

Bibliografia:  Frey 1923, pp. 704-706.