Memofonte

Firenze

La ricca documentazione di testi descrittivi della città già a partire dal XVI secolo, ha suggerito una prima esemplificazione in grado di offrire casi non convenzionali. La scelta di opere nate non propriamente come guide al patrimonio artistico fiorentino, allarga lo scenario integrando con testimonianze non solo erudite e storiche, ma nel caso di Borghini assistiamo al passaggio dalla storiografia locale alla guida storico-artistica, e in quello di Agostino Del Riccio ad un linguaggio naturalistico comunque capace di orientare su peculiarità del patrimonio cittadino.

In consultazione

Francesco di Santi di Jacopo Albertini (seconda metà del XV secolo)

Pubblicato nel 1510 presso la tipografia Tubini, il Memoriale di Francesco Albertini è la più antica guida artistica italiana di città che si conosca. Si compone di appena sedici pagine, nelle quali vengono elencate, sia pure in maniera spedita o laconica, le opere d’arte più notevoli di Firenze, con uno sguardo particolare alle chiese, cosa che non sorprende, a maggior ragione perché il suo autore, nativo di Acone, fu ascritto al clero fiorentino, dapprima come cappellano (dal 1493) e poi come canonico della basilica di San Lorenzo (dal 1499).

Nel Memoriale si menzionano solo artisti fiorentini, con l’unica eccezione di Pietro Perugino (pur sempre fiorentino di formazione).

Per il Trecento Albertini ricorda diverse pitture di Taddeo Gaddi; al contrario, di Giotto considera solo le cappelle di San Giovanni e San Francesco in Santa Croce; celebra con parole elogiative il tabernacolo di Orsanmichele, senza però nominarne l’artefice (l’Orcagna), e nelle sue pagine non trova spazio neppure Andrea Pisano, nonostante che si soffermi sulle porte del Battistero di San Giovanni. L’autore non rinuncia invece a qualche autoelogio – che si concede con lo scultore Baccio da Montelupo, suo amico e dedicatario dell’opuscolo – come erudito e come ‘artista’: decanta infatti la propria cultura, come pure progetti e opere del suo ingegno («ti mosterrò uno modello di mia fantasia» [scrive a proposito della facciata del Duomo di Firenze]; «in Palazo del Papa – sostiene – è pure una porta per mio disegno»).

L’arte fiorentina del Quattrocento è illustrata nella guida più ampiamente, non senza, però, qualche svista: in Santa Maria del Fiore, a Donatello sono assegnati l’arca bronzea di San Zanobi (di Ghiberti) e uno dei lavabi marmorei per la sagrestia (di Andrea Cavalcanti, detto il Buggiano); ancora, a fra Angelico sono attribuiti gli affreschi della cappella maggiore nella Pieve di Prato (com’è noto, opera di Filippo Lippi e aiuti).

Il Memoriale fu tra le fonti adoperate dal Vasari fin dalla prima edizione delle Vite, e, dopo l’Albertini, si sarebbe dovuto attendere il 1591, con Le bellezze della città di Fiorenza di Francesco Bocchi, perché si stampasse un’altra guida sulla città della cupola brunelleschiana.

Dell’opera esiste, presso la Biblioteca Angelica di Roma, una versione manoscritta del XVI secolo (ms. 2053), anonima, che può considerarsi successiva alla princeps (vd. Bentivoglio 1980); in essa mancano la dedica al Montelupo, la cantilena conclusiva e una serie di apprezzamenti che rendono tale redazione, rispetto a quella qui trascritta, più asciutta. Riedizioni del Memoriale (o, per meglio dire, ristampe) si sono avute nel 1863, nel 1869, nel 1909 (ed. H.P. Horne) e nel 1932.

Raffaello Borghini (1541-1588)

La possibilità di potere analizzare il complesso Riposo (1584) di Raffaello Borghini che nei suoi molteplici aspetti di trattato-dialogo e di guida offre da un lato una piatta assimilazione delle Vite Vasariane e dall’altro nuove informazioni su artisti tardo cinquecenteschi, possono consentire di verificare il suo peso anche negativo, nei confronti della ben più vitale storia vasariana. L’intento di divagazioni culturali di varia natura (letteraria, biografica, aneddotica) alle quali Borghini non seppe sottrarsi facilitarono certo una tradizione guidistica locale più legata alle circostanze ambientali (politiche religiose) che ai protagonisti della figuratività fiorentina. Nel passaggio dunque dalla biografia alla topografia Raffaello Borghini ha un suo ruolo, che merita di essere puntualmente verificato.

Il riposo

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Libro 1

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Libro 2

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Libro 3

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Libro 4

Firenze 1584 - PDF pubblicato dicembre 2006

Agostino del Riccio (1541-1598)

Domenicano, autore di vari trattati naturalistici nella sua Istoria delle pietre propone una guida litologica della città di Firenze (attenta alle caratteristiche naturali, alla loro provenienza) molto apprezzata dagli eruditi settecenteschi (L. Strozzi, G. Bottari, G. Pelli Bencivenni, F.M.N. Gabburri, G. e O. Targioni Tozzetti).

Istoria delle pietre

(Firenze, Biblioteca Riccardiana, misc. 230) - PDF pubblicato settembre 2007
Riferimenti bibliografici:

A. Del Riccio, Istoria delle pietre, riproduzione anastatica del cod. 230 della Biblioteca Riccardiana, a cura di P. Barocchi, Firenze S.P.E.S., 1979.

A. Del Riccio, Istoria delle pietre, a cura di R. Gnoli e A. Sironi, Torino Allemandi, 1996.

Francesco Bocchi (1548-1618)

Concepita in dittico insieme a un volume sul “valore della città” e sul “politico governo” (probabilmente mai scritto), Le bellezze della città di Fiorenza di Francesco Bocchi è opera informata da un forte spirito campanilistico. Secondo un antico quanto frusto tòpos, nel patrimonio artistico della capitale granducale, materia dello scritto, l’autore vede il riflesso esteriore delle virtù e del “grande animo” degli “ingegni fiorentini”. Tale convincimento condiziona inevitabilmente la descrizione della città nei suoi singoli monumenti, che infatti raramente abbandona toni enfatici ed elogiativi; ne consegue che a una lettura poco approfondita si possa ricavare una generale impressione di mancanza di spessore critico da parte del letterato e poligrafo toscano.

Nonostante questo evidente limite, sono però diversi i motivi di interesse dell’opera, che comunque costituisce la prima vera e propria guida di Firenze, oltre che una fonte non trascurabile per la conoscenza di alcune delle maggiori dimore e collezioni private del tempo.

L’orgoglio municipalistico dell’autore in parte spiega anche le numerose lodi tributate ad Andrea del Sarto (di gran lunga l’artista più celebrato nell’opera), la cui superiorità nel dipingere, e in particolare nel “contrafar la natura”, è affermata tanto nei confronti del “divin Buonarroto” (pur con un certo timore reverenziale), quanto, soprattutto, a detrimento di Raffaello. Bocchi in questo modo – riprendendo argomenti già esposti nel precoce Discorso sopra l’eccellenza dell’opere d’Andrea del Sarto pittore fiorentino, datato 1567 e rimasto manoscritto fino al 1989 – fornì la propria risposta alla Vita giuntina di Andrea: benché Vasari non avesse lesinato parole lusinghiere nei confronti dell’arte del maestro, il letterato fiorentino evidentemente avvertiva la biografia sartesca, in particolare nel preambolo e nelle ultime pagine, come svilente e ingenerosa nei confronti di un artista che riteneva massima gloria patria insieme al Petrarca.

Le bellezze della città di Fiorenza, dunque, sono anche un rilevante documento per la fortuna del pittore “senza errori” sul finire del Cinquecento e una testimonianza del mutamento di modelli e tendenze maturato nella pittura sacra fiorentina a partire dall’ottavo decennio del secolo.

Alla luce di ciò, forse, si comprende perché Bocchi riferisce al Sarto una Madonna col Bambino e san Giovannino posta nella cappella ove era locato il sepolcro del beato Giovanni da Vespignano nella non più esistente chiesa di San Pier Maggiore, nonostante che Vasari nelle Vite e Raffaello Borghini nel Riposo avessero assegnato il dipinto a Franciabigio.

Aspetto non trascurabile dell’opera, poi, è il suo carattere encomiastico e cortigiano, che emerge in più punti della trattazione. A tal proposito, se la dedica del volume alla granduchessa Cristina di Lorena appare scontata per le consuetudini di una società di antico regime, è assai significativo che esso si concluda con una lunga e dettagliata descrizione del complesso di San Lorenzo, pantheon delle memorie della casa dei Medici da Giovanni di Bicci a Clemente VII e a Cosimo I (quarantuno pagine a fronte delle trentadue dedicate alla basilica e al convento dell’Annunziata, delle quindici di Santa Maria Novella, delle dodici del Duomo, delle dieci degli attuali Uffizi e delle sette di Palazzo Vecchio e di Palazzo Pitti).

La fonte principale cui il Bocchi attinge è, come si potrebbe facilmente intuire, Vasari, alle cui Vite ricorre costantemente, anche se non in maniera esclusiva, e senza mai citarle, per le notizie su attribuzioni e aneddoti riguardanti gli artisti operanti tra l’età di Cimabue e la metà del Cinquecento. Altro lavoro tenuto presente nella stesura della guida fu, con buona probabilità, Il Riposo di Borghini. Benché Bocchi dovette servirsi di quest’opera in misura assai minore rispetto alle Vite, diversi passi ne tradiscono una lettura, tra i quali i casi più clamorosi sono rappresentati dalle descrizioni della Fontana di Oceano di Giambologna e della Fontana di Nettuno dell’Ammannati: in esse, infatti, il periegeta fiorentino segue in maniera pedissequa, anche utilizzando quasi le stesse parole, il testo del Borghini (di cui probabilmente si era avvalso per conoscere le misure e per identificare con precisione i personaggi mitologici che popolano le due fontane).

A questo punto si potrebbe concludere che Bocchi non sia nient’altro che un alienorum laborum fucus, se non fosse per il fatto che egli comunque mantiene una sua autonomia di giudizio rispetto agli autori da cui dipende. Indicativi, in tal senso, sono non solo la convinzione del primato di Andrea del Sarto su Raffaello, ma anche, per esempio, il modo polemico con cui vengono rivendicati alla mano di Baccio Bandinelli entrambi i Termini marmorei posti all’ingresso di Palazzo Vecchio; Borghini, infatti, aveva riferito che l’esecuzione di quello maschile era stata affidata a Vincenzo de’ Rossi, affermazione che Bocchi dovette percepire come un torto alla memoria dello scultore dell’Ercole e Caco, altro artista da lui tenuto nella massima considerazione (è forse, questa vicenda, indizio di una disputa, tra i cosiddetti “intendenti”, circa l’attribuzione delle due statue reggicatena?).

Quindi, sebbene in questo come in altri casi le posizioni del Bocchi giustamente non abbiano trovato seguito nella storiografia successiva, e benché egli non avesse né la severità pedantesca di un Borghini né, tantomeno, l’acume critico di un Vasari, Le bellezze della città di Fiorenza rimangono, per chi sappia setacciarne con scrupolosità le pagine, fonte di interessanti informazioni circa il panorama artistico e il dibattito culturale della capitale medicea alla fine del Cinquecento.

Bellezze della città di Firenze

Firenze 1591 - PDF pubblicato novembre 2019, a cura di Giovanni Sannino

Giovanni Cinelli (1625-1706)

Medico e letterato ripubblicò nel 1677 Le bellezze della città di Firenze, rispettandone integralmente il testo e aggiungendovi numerose informazioni su edifici più recenti e su numerose collezioni private. La distinzione dei due testi è qui risolta con una bicromia (azzurro per Cinelli e nero per Bocchi).

Le bellezze della città di Firenze

Firenze 1677 - PDF pubblicato gennaio 2009

Il discontinuo montaggio del manoscritto Magliabechiano XIII, 34, sempre relativo alle Bellezze della città di Firenze, ha suggerito di ricomporre nella sequenza reale i vari ambienti.

Proemio

c. 195 (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Magliabechiano XIII, 34) - PDF pubblicato dicembre 2008

Corridore

cc. 211-223 (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Magliabechiano XIII, 34) - PDF pubblicato dicembre 2008

Tribuna

cc. 196-197, 243v-248v (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Magliabechiano  XIII, 34) - PDF pubblicato dicembre 2008

Armeria

cc. 229-234v (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Magliabechiano XIII, 34) - PDF pubblicato dicembre 2008

Fonderia

cc. 123-126v (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Magliabechiano XIII, 34) - PDF pubblicato dicembre 2008

Galleria

cc. 254-260 (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Magliabechiano XIII, 34) - PDF pubblicato dicembre 2008

Corridore

cc. 205, 202-204v, 203v, 209 (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Magliabechiano XIII, 34) - PDF pubblicato dicembre 2008

Risposta alle censure

cc. 303-304v (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Magliabechiano XIII, 34) - PDF pubblicato dicembre 2008

Palazzo Vecchio, Guardaroba

cc. 80-86v, 90r (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Magliabechiano XIII, 34) - PDF pubblicato dicembre 2008

Galleria

cc. 104-108v (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Magliabechiano XIII, 34) - PDF pubblicato dicembre 2008

Camera de’ pittori

cc. 237-239 (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Magliabechiano XIII, 34) - PDF pubblicato dicembre 2008

Palazzo Pitti, Cortile

cc. 109-113 (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Magliabechiano XIII, 34) - PDF pubblicato dicembre 2008

Palazzo Pitti, Appartamento del principe Cosimo

c. 103 (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Magliabechiano XIII, 34) - PDF pubblicato dicembre 2008

Libreria

cc. 142-147v (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Magliabechiano XIII, 34) - PDF pubblicato dicembre 2008

Poggio Imperiale

cc. 326-335v (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Magliabechiano XIII, 34) - PDF pubblicato dicembre 2008

Pratolino

cc. 336-337 (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Magliabechiano XIII, 34) - PDF pubblicato dicembre 2008

Careggi

c. 430 (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Magliabechiano XIII, 34) - PDF pubblicato dicembre 2008
Riferimenti bibliografici:

D. Heikcamp, La Galleria degli Uffizi descritta e disegnata, in Gli Uffizi, quattro secoli di una Galleria, Atti del convegno internazionale di studi, Firenze 1983, pp. 466-477.
R. Spinelli, in AA.VV., Fasto di corte, II, Firenze 2000, p. 234.
F. Facchinetti, in AA.VV., Palazzo Pitti: l’arte e la storia, Firenze 2000, pp. 87-89.

Raffaello del Bruno (XVII secolo)

Concepito fin dal titolo come un compendio di notizie a uso di un forestiero di passaggio a Firenze («c’abbia desio d’informarsi succintamente delle cose più singolari»), il Ristretto di Raffaello del Bruno vide la luce per la prima volta nel 1689 e conobbe un grande successo, venendo ristampato per ben sei volte tra il 1698 e il 1767.

Poche notizie si hanno del suo autore, il cui nome fu rivelato da Jacopo Carlieri, finanziatore dell’opera, nella dedica al lettore anteposta alla seconda impressione della guida; di lui sappiamo solo che era fiorentino, che era «professore di leggi», che scrisse un trattato in difesa della Giurisprudenza (G. Mazzuchelli, Gli scrittori d’Italia, vol. II, parte IV, Brescia 1763, p. 2227) e che fu ascritto all’Accademia degli Apatisti.

La princeps, che qui si trascrive, viene dedicata nel frontespizio alla principessa di Toscana Violante Beatrice di Baviera. Il testo sembra rivolgersi a un pubblico aristocratico e colto; allo stesso modo, dimostra di essere colto e ben informato anche Del Bruno, che, nonostante la promessa brevità, fornisce in diversi casi informazioni dettagliate, e si sofferma, nel descrivere ambienti e opere, sulla maestosità dei primi (talvolta indicandone finanche le misure) e sulla preziosità materica delle seconde (con una predilezione, si direbbe, per i marmi). Significativamente, nell’Introduzione l’erudito dichiara di omettere molte cose che, «per esser in case private, soggiaciono facilmente a mutarsi e talora non possono comodamente vedersi» (p. 3): ciò presuppone una sua frequentazione di prestigiosi salotti, appartenenti a ricchi fiorentini, sensibili al fascino dell’arte, oppure appassionati di oggetti stravaganti e rari, che nel Seicento riempivano le case dei collezionisti.

Nel Ristretto, organizzato in tre giornate di visita, viene seguito un percorso che, partendo sempre dal cuore della città, conduce il visitatore a esplorare il primo giorno principalmente l’area nord-orientale di Firenze, il secondo quella nord-occidentale, il terzo la zona meridionale, Oltrarno. A partire dalla seconda ristampa, la guida fu incrementata di una seconda parte, composta da Anton Francesco Marmi, studioso di antichità, riguardante «le cose più notabili della campagna suburbana».

Durante il tragitto Raffaello del Bruno non si astiene dall’esprimere giudizi personali, perlopiù di grande ammirazione, per i luoghi che va esaminando. Riserva un alto apprezzamento per esempio alla Cupola brunelleschiana («rende l’occhio di chi la mira per lo stupore attonito, né per quanto se ne scriva o ragioni si giunge mai a lodarne una sol parte» [p. 10]), al Palazzo Medici Riccardi («non può spiegarsi a bastanza quanto sia bello e magnifico» [p. 18]), alla Libreria Laurenziana («per tutto il mondo rinomata», e «di sì rara e perfetta architettura, che lingua umana non ha lode bastevole per commendarla» [p. 59]), e soprattutto alla Tribuna degli Uffizi. Quasi a giustificare l’ardore che manifesta per questo luogo, nel quale, a suo dire, «si ritrovano compendiati […] i maggiori pregj della Natura e dell’Arte, prodigj della pittura e scultura, e tutto ciò che di bello, di ricco e di prezioso può ritrovarsi nel mondo», Del Bruno aggiunge: «Né crediate, o lettore, che queste lodi siano più tosto ingrandimenti poetici e favolosi racconti, imperciocché, minutamente osservando ogni sua parte da voi medesimo, ritroverete che la fama è di gran lunga minor del vero» (p. 78). Altre volte la valutazione, sempre molto positiva, è affidata al parere degli scrittori, come nella Sagrestia Nuova, oppure a quello di «professori» e «intendenti», come per i gruppi statuari raffiguranti il Ratto delle Sabine ed Ercole e il Centauro Nesso, di Giambologna, o per il San Giorgio di Donatello, o ancora per il Ponte di Santa Trinita, secondo gli esperti «riuscito il più bello e più leggiadro non solo di Firenze, ma eziamdio di quanti si vedano nella Toscana» (p. 124).

In un punto del volume, poi, il Del Bruno, che nelle pagine conclusive confessa la sua distanza dal mondo letterario – e ammette che il Ristretto non è stato da lui arricchito nei contenuti, perfezionato e ripulito nello stile a causa dell’«angustia del tempo» e delle «gravi occupazioni d’una differente professione» –, lascia trapelare i suoi interessi primari e più profondi; nella Guardaroba medicea a Palazzo Vecchio, dopo aver dichiarato che ci vorrebbe un volume intero per descrivere «l’innumerabili cose che vi si trovano», finisce per risolvere così l’argomento: «Diremo solo, come di cosa a mio giudizio più rara, trovarsi in questo luogo l’originali Pandette di Giustiniano, chiamate in oggi le Pandette fiorentine, e stimate più d’un tesoro da chi riguarda la rarità et eccellenza d’un manoscritto sì celebre» (p. 89).

Agli aneddoti e alle informazioni di costume non è offerto spazio all’interno del volumetto (contrariamente a quanto si riscontra, per esempio, nella letteratura periegetica napoletana degli stessi anni), eppure un’eccezione si registra a proposito del Gioco del calcio, praticato dalla nobiltà cittadina. La sua presentazione occupa diversi righi, trasportando il lettore in una piazza, quella di Santa Croce, trasformata quasi in un’arena, dove i giocatori, dagli abiti sfarzosi e colorati, combattono, al suono di trombe e tamburi, come in una «battaglia».

Per la data di composizione della prima edizione, un dettaglio interno induce a ritenere che forse il Del Bruno ne intraprese la scrittura già nel 1688. A proposito di Santa Maria del Fiore, l’autore infatti puntualizza: «in oggi, e mentre io scrivo di queste cose, vien tutta dipinta a fresco et adornata», e nella quarta edizione del Ristretto, del 1733, allo stesso punto si dice: «vedesi di presente tutta dipinta a fresco: ornamento fatto l’anno 1688, coll’occasione delle reali nozze del serenissimo gran principe Ferdinando di Toscana […] colla serenissima gran principessa Violante Beatrice di Baviera». Pur tenendo conto del calendario fiorentino, se si considera che le nozze si celebrarono il 9 gennaio 1689, si può ipotizzare che la guida fu cominciata già nel 1688 del calendario moderno.

Francesco Zacchiroli (1750-1826)

Francesco Zacchiroli, ferrarese, ex gesuita, poeta e saggista, nel 1782 fu incaricato da Giuseppe Pelli Bencivenni, allora direttore della Galleria degli Uffizi, di redigere una descrizione della galleria in lingua francese, “per uso dei forestieri”. La commissione avrebbe permesso a Zacchiroli di integrare il modesto compenso che, in qualità di pensionato, beneficiava dal Granduca Pietro Leopoldo di Lorena.
La Description de la Royale Galerie de Florence, data alle stampe nel giugno del 1783, nasce da un’osservazione diretta delle opere conservate nella Galleria. L’autore trovò un valido aiuto per la stesura della sua operetta nella lettura del Saggio Istorico (tomi 1 e 2) pubblicato dal Pelli nel 1779. L’assistenza dello stesso direttore si rintraccia anche nella corrispondenza esatta delle attribuzioni presenti nella Description e nel Catalogo delle pitture della Regia Galleria (tomi 12 e 3), allora inedito e incompleto. I riferimenti bibliografici, nonché i debiti intellettuali (Pelli, Lanzi) sono d’altronde ricordati con enfasi nella prefazione alla Description.
Le aspettative di Pelli, tuttavia, furono in parte deluse: una memoria tratta dalle sue  Efemeridi, datata 13 giugno 1783, esprime qualche disapprovazione, ritenendo che Zacchiroli “…poteva fermarsi più sopra certe cose, poteva lasciare certe uscite un poco troppo burlesche”. Al di là dello stile pittoresco e a tratti ampolloso, nel complesso si tratta di un’opera a carattere divulgativo, esauriente nei contenuti e di facile lettura.
Si segnala l’importanza di questa fonte per la storia del collezionismo della Galleria, in quanto l’opera descrive allestimenti di ambienti in seguito modificati e riordinati dal Lanzi. Altro pregio della Description, nata come guida, è di accompagnare, con una dettagliata analisi, l’ipotetico viaggiatore del grand tour nelle sale della Galleria allora non accessibili, come la Stanza del Medagliere.

Description de la Royale Galerie de Florence

Firenze, Allegrini, 1783 - PDF - pubblicato maggio 2007
sezione a cura di: Paola Barocchi e Francesco Caglioti, con la collaborazione di Luisa Berretti, Alessia Cecconi e Claudio Brunetti